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11 Ago [16:48]

Il commento di Alberto Sabbatini:
Vettel-Ferrari, perché è meglio lasciarsi ora

Alberto Sabbatini - XPB Images

Come sanno tutti quelli che hanno avuto la sfortuna di divorziare dopo un lungo legame, gli ultimi mesi di un rapporto sfilacciato sono i peggiori. Si litiga per ogni cosa, si prende a pretesto ogni piccolo episodio per polemizzare con la controparte. È quello che sta succedendo a Vettel e la Ferrari. A fine gara, domenica scorsa, volavano stracci nel box ferrarista fra l’ex pupillo del Cavallino e il team.

Vettel e la Ferrari ormai sembrano arrivati al capolinea. Un rapporto stanco, logoro. Tipico di chi non ha più fiducia nell’altro. Vettel non si sente in mano questa SF1000. La soluzione di scaricare l’aerodinamica per renderla almeno veloce sui rettifili di Silverstone, che per Leclerc ha funzionato bene, al tedesco non si adatta. A lui una macchina così nervosa e scivolosa, non dà proprio fiducia. Non riesce a guidarla. Forse Seb è stato viziato da tanti anni in Red Bull con la monoposto che aveva la migliore deportanza della F1 e che gli permetteva di fare quello che voleva in curva. Fatto sta che con la SF1000 non si trova. Lo ha ripetuto fino allo sfinimento.

La freddezza è cominciata con la vicenda del mancato rinnovo. Non ha mai digerito il modo in cui è stato messo alla porta da Maranello. Essere stato scaricato dalla squadra a sorpresa quando almeno si aspettava una proposta di rinnovo su cui discutere l’ha scioccato e deluso. Sentirsi preso in giro durante la primavera, quando Binotto andava dicendo «Vettel è la nostra prima scelta», ma intanto si accordava con Sainz per il 2021 non gli è mai andata giù. Vettel è un passionale e ne ha sofferto. Come ha sofferto nel vedere che il team si disamorava di lui per innamorarsi di Leclerc. Il problema è nato lì.

È chiaro che gli impegni di reciproco buonismo che sono stati presi fra le parti dopo il mancato rinnovo, cioé di convivere ancora per questa stagione cercando di arrivare in fondo alla stagione alla bell’e meglio aiutandosi a vicenda, non si potranno mai realizzare. Accordi che suonavano fasulli prima e tanto più adesso. Infatti, oggi ogni pretesto è buono per litigare. Dalla strategia sbagliata al testacoda alla prima curva. E allora uno si chiede: perché trascinare ancora questo stillicidio da ambo le parti? Perché per il bene di tutte e due le parti in causa non troncare subito un legame ormai sfilacciato dove un pilota amareggiato perché non riesce a trovare la chiave dei suoi problemi finisce per mettere in discussione la correttezza dell’operato della squadra?

Intendiamoci, io sono ancora uno che apprezza Vettel. Per me è stato ed è ancora un grande pilota. Forse non è al pari di Lewis Hamilton, Ayrton Senna, Michael Schumacher e nemmeno di Niki Lauda, ma uno che a 17 anni al debutto nelle FP1 di un Gran Premio è stato il più veloce di tutti, uno che ha vinto sotto la pioggia con la Toro Rosso (nemmeno super-Verstappen c’è riuscito!), uno che ha conquistato quattro titoli mondiali, non è un sopravvalutato. Se lo fosse stato, avrebbe vinto qualche corsa soltanto con la Red Bull, come ha fatto Mark Webber, non 34 GP e 4 titoli iridati senza mai sbagliare un colpo. Per cui non ritengo Vettel un incapace.
 
Però, è evidente che è un campione stressato e in crisi psicologica; uno che ha perso la bussola e non trova più l’orientamento. Uno che si sente spaesato perché casa sua era Maranello e si rende conto che quella Ferrari che amava, ora lo tratta come un estraneo. Di certo, Vettel è un po’ debole mentalmente: eccezionale pilota quando tutto fila liscio, si fa sommergere dalle difficoltà quando le cose girano male. Anche Sergio Marchionne diceva che è un tedesco “troppo latino”. Certo non è un duro, uno spregiudicato e temprato per prendersi l’onere del team sulle spalle e superare le difficoltà come altri campioni ferraristi del passato quali Fernando Alonso e Schumacher.

Ma proprio perché Vettel mi piace come persona oltre che come pilota, credo che sia il caso – per lui e per la stessa Ferrari – di mettere fine anzitempo a un rapporto così logoro. Prima che situazione precipiti per tutti e due. Tanto ormai quel che è perso non si recupera più. Il pensiero mi corre a un altro pluri-campione del mondo ferrarista che 29 anni fa, di fronte alle difficoltà, cominciò a tenere un atteggiamento polemico del genere. Alain Prost, che nell’ottobre 1991 fu licenziato dalla Ferrari per averla definita «un camion».

Io quella vicenda l’ho vissuta in prima persona perché la famosa domanda a Prost che generò la risposta del “camion” gliela posi proprio io. A Suzuka, nel 1991, al termine di una gara infelice dove il francese con la Ferrari giunse soltanto quarto staccato di un minuto e mezzo dal vincitore. Ricordo come fossi oggi quell’episodio. Alain in quell’occasione non aveva intenzione di offendere la Ferrari. Voleva semplicemente spiegare perché la macchina si guidava male. Lui disse a me e agli altri giornalisti: «Andavo piano perché l’auto era difficile da guidare: lo sterzo era troppo pesante». Gli risposi: Spiegati meglio Alain: Che intendi dire con “pesante”? E lui aprendo le braccia come per afferrare un grande volante immaginario, mi disse: «Hai presente il volante di un camiòn? Era duro da sterzare come un camiòn!» Pronunciato alla francese, con l’accento sulla “o”.

Dietro di me però, c’era un giornalista dell’Ansa che ascoltò le parole del pilota e frettolosamente vergò sul taccuino le seguenti parole: “Prost: la Ferrari è un camion”. Così l’articolo dell’Ansa partì con destinazione tutti i giornali italiani dando alla Ferrari, che non ne poteva più di Prost, un assist formidabile per licenziarlo in tronco per aver offeso l’azienda e i suoi prodotti. Vi garantisco però, che le parole di Prost in quel momento non volevano essere offensive o di dileggio. Ma esplicative. Però, erano sei mesi che fra Prost e la squadra si trascinavano incomprensioni e accuse. Il francese aveva fatto saltare l’ingaggio di Senna per gelosia, poi con il suo atteggiamento aveva spaccato l’armonia della squadra. Finché il presidente della Ferrari (che era Piero Fusaro) non lo licenziò utilizzando quel pretesto del camion. Qualche giorno dopo, si venne a sapere che la Ferrari di Prost a fine gara aveva un tirante dello sterzo danneggiato. Per quello era diventata così pesante da guidare. Come un camion.

Ecco, Vettel se le cose andranno avanti così, rischia di cadere nella stessa involuzione che decretò la fine di Prost. A furia di spiegare le proprie sensazioni negative con la macchina, finirà per usare i termini sbagliati, offendere qualcuno o qualcosa e farsi fraintendere. Col rischio di esasperare qualcuno in alto. Una vicenda come quella di Prost e del camion potrebbe riproporsi tanti anni dopo. Proprio qualche giorno fa l’allenatore della Juventus, Maurizio Sarri, anche se aveva un contratto biennale, è stato esonerato per aver perso la qualificazione in Champions League. Ricordiamoci che Juventus e Ferrari hanno la stessa proprietà.

Vettel ha raccolto il minimo di risultati quest’anno – è soltanto 13° nel mondiale – e non è certo nella situazione più adatta per difendersi da una ragionevole accusa di scarso rendimento se la situazione fra lui e il team dovesse incrinarsi ancora di più. Tanto più che lui sta trattando per il futuro con quel team che è fortemente inviso a Maranello: la Racing Point. E che ha dietro una Casa automobilistica, l’Aston Martin, rivale diretta della Ferrari nel campo delle sportive stradali di lusso. Per questo secondo me, prima che tra Vettel e la Ferrari finisca come nel 1991 tra Prost e la Ferrari e si spirgioni una polemica infinita, è bene che le strade di pilota e team si separino. Per il bene del resto della stagione F1 della Ferrari e per l’armonia generale di tutti e due. Non ha senso trascinare ancora in questo modo un rapporto così sfilacciato.

Un divorzio immediato e condiviso, a testa alta e guardandosi negli occhi, farebbe bene a tutti e due. Alla Ferrari che non dovrebbe più arrampicarsi sugli specchi per giustificare con imbarazzo gli errori del suo ex pupillo. E al pilota che potrebbe rigenerarsi in una nuova avventura con un team che lo circonderebbe di quella fiducia che ora a Maranello non sente più. Prost, quando fu licenziato e accompagnato alla porta dalla Ferrari, rimase fermo un anno ma si accordò con la Williams per il 1993 e a 38 anni vinse il quarto titolo mondiale.

Anche Nigel Mansell, un anno prima, aveva vissuto una vicenda analoga a quella di Vettel. Abbandonata la Ferrari a fine 1990 al colmo della disperazione perché non si sentiva più al centro dell’attenzione del team che stravedeva per Prost, minacciò il ritiro. Nell’inverno si rigenerò mentalmente e tornò forte più di prima con la Williams tanto da vincere nel giro di due anni, a 39 anni, il titolo mondiale F1 battendo nientedimeno che Senna.

A Vettel, che di anni ne ha soltanto 33, non suggerirò certo di cercarsi la Williams per rigenerarsi perché non è più la squadra vincente che era negli anni Novanta. Ma l’alternativa competitiva – sempre inglese – non gli manca. Trascinare invece quest’agonia con una macchina in cui non ha fiducia non fa bene né a lui né alla Ferrari.

Alberto Sabbatini, già inviato F1 per la Gazzetta dello Sport, direttore di Rombo e Autosprint, scrive per noi

Il blog di Alberto Sabbatini
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