Jacopo RubinoSebastian Vettel con un paio di boxer sopra la tuta in stile Superman, Lewis Hamilton in conferenza stampa con tre orologi al polso, e persino più anelli e collane del solito. Scene che hanno strappato un sorriso, ma che sembrano segnare una spaccatura fra i piloti di Formula 1 e la FIA, forse più profonda delle proteste folkloristiche a favore di telecamere. A Miami si è riaccesa la questione legata all'abbigliamento intimo e ai gioielli: l'Appendice L del Codice Sportivo Internazionale già prevede, nel primo caso, di indossare capi ignifughi e omologati, nel secondo il divieto di utilizzo quando si scende in pista. Niels Wittich, uno dei due direttori di gara designati da quest'anno, lo aveva già ricordato durante il weekend di Melbourne, con scarsi apprezzamenti, ma in Florida la polemica è montata definitivamente, sostenuta dai due personaggi più vincenti e carismatici oggi in griglia.
A Hamilton è stata concessa l'esenzione per altri due Gran Premi così da rimuovere chirurgicamente alcuni dei suoi piercing, come quello al naso, ma l'inglese sembra pronto a fregarsene. A Miami aveva persino minacciato di disertare: "Abbiamo un pilota di riserva e in questa città ci sono tante cose da fare...". Il collega Vettel ne ha preso le difese: "Probabilmente, al momento, è più una questione personale e sento che Lewis sia nel mirino". Forse come piccola vendetta per la reazione al finale del campionato 2021, con il titolo perso all'ultimo giro di Abu Dhabi.
Gioielli o capi di abbigliamento infiammabili possono aggravare le conseguenze di un incidente, conducendo il calore o rallentando i soccorsi. La questione è innanzitutto di sicurezza, e qui non si dovrebbe discutere. La FIA, peraltro, sta smettendo di chiudere un occhio anche in altre categorie: durante la Formula E a Montecarlo, ad esempio, Pascal Wehrlein e Mitch Evans sono stati multati di 1000 euro perché portavano al collo una catenina di metallo durante le qualifiche.
Ai piloti, forse, non piace la limitazione della propria libertà di espressione, ma quello della FIA appare soprattutto un esercizio repentino di potere. Questo pugno di ferro, per giunta, contrasta con l'approvazione di circuiti che a sicurezza non sembrano poi così adeguati: pensiamo a Jeddah, con medie orarie vicine a quelle di Monza ma con i muretti a un palmo di distanza, dove Mick Schumacher ha rischiato grosso picchiando in Q2; o proprio a Miami, con Esteban Ocon a subire 51G di decelerazione sbattendo sabato alla chicane 14-15, delimitata solo da barriere di cemento. Lì venerdì aveva avuto un crash anche Carlos Sainz, rimasto poi dolorante.
"Carlos si è lamentato con il direttore di gara, stavamo tutti ascoltando, e nulla è stato fatto. La FIA dovrebbe spingere di più per la nostra sicurezza", ha sottolineato Ocon. E il ferrarista aveva ribadito: "Mi dispiace essere critico, ma ho detto alla FIA che quell'incidente in seconda marcia non avrebbe dovuto essere così duro". E tutti i colleghi hanno dato loro sostegno. Un altro appello ignorato a Miami è stato quello di rivedere l'entrata in pit-lane, che poteva portare al rischio di incidenti per lo sporco fuori traiettoria. Nonostante l'autorità che le deve essere riconosciuta, la FIA, o meglio la nuova direzione gara, sta dialogando a sufficienza con i piloti, che mettono a repentaglio la propria incolumità?