Jacopo RubinoA 465 il conto delle presenze si ferma, dietro solo a Ferrari, McLaren, Williams e Lotus: il nome Sauber è stato presente sulla griglia della Formula 1 per quasi la metà di tutti i Gran Premi disputati nella storia, ritagliandosi una bella fetta di simpatie. Vuoi per la curiosa origine svizzera (quasi un paradosso, in un Paese dove le corse in circuito sono vietate), per i giovani lanciati o per i tanti exploit che l'hanno spesso portata a insidiare il circolo dei big, in cui si era persino inserita sotto la proprietà BMW. L'addio dei bavaresi ha segnato una lunga e difficile fase, con il rischio di scomparire, fino alla risalita del 2018 e alla trasformazione in Alfa Romeo Racing in vista della nuova stagione. Una splendida notizia, per ridare vigore ad uno fra i marchi più amati in assoluto, ma in questa operazione affascinante la squadra elvetica ha rinunciato alla propria targhetta. Un pizzico di nostalgia è inevitabile, eppure sembra tutto coerente con il DNA di un team che ha reso il trasformismo una virtù.
Il debutto in F1 dopo 23 anni di attivitàL'ingresso della Sauber nel Circus è datato 1993, ma non certo da zero. Non a caso la prima monoposto si chiamava C12: la lettera "C" era il solito omaggio a Christiane, la moglie del fondatore Peter, e il 12 dava continuità a tutto ciò che c'era stato fino a quel momento. L'avventura era partita addirittura nel 1970 da un garage alle porte di Zurigo, dove venne realizzata la barchetta C1 per le cronoscalate, proseguendo fino al prestigioso Mondiale Sport e al matrimonio con la Mercedes, per conquistare 24 Ore di Le Mans e titolo sia nel 1989 sia nel 1990, schierando pure un certo Michael Schumacher. È in quel periodo che si gettano le basi per l'approdo in F1. La casa tedesca vuole riprendere il discorso interrotto nel 1955, con l'eredità della mitica W196 di Fangio, e la Sauber apre la strada: quella C12 è infatti motorizzata Ilmor, la factory britannica che già lavora per conto della stessa Mercedes. Il pacchetto si rivela subito competitivo, tanto che al debutto in Sudafrica matura un sorprendente doppio piazzamento a punti con JJ Lehto e Karl Wendlinger. Concluso un ottimo rodaggio, il dieci cilindri Ilmor diventa ufficialmente Mercedes nel 1994 per ricreare quel binomio così efficace nell'endurance. In F1 però non si concretizza un vero salto di qualità: in Germania gli obiettivi sono ben più ambiziosi e per l'anno seguente si sceglie di sposare la McLaren.
Red Bull, Ford, Petronas, Ferrari: i cambiamentiSedotta e abbandonata, la Sauber si scopre camaleontica. Nel 1995 ottiene la sponsorizzazione dell'emergente Red Bull, ed eredita i V8 ufficiali Ford lasciati dalla Benetton. Nel 1996 viene siglato il munifico legame con Petronas, di ampie prospettive: il colosso petrolifero malese per il 1997 finanzia l'utilizzo dei V10 Ferrari rinominati, promettendo intanto di realizzare un propulsore tutto suo. Ma la crisi asiatica del periodo stoppa il programma, e la Sauber rimane una fedelissima cliente di Maranello. Schumacher, in una sorta di "rimpatriata", guida a Fiorano la C16 per un test comparativo con la Rossa, scoprendo una vettura interessante. Sauber-Petronas, sotto il cofano le unità del Cavallino, livrea blu e verde acqua: una combinazione che rimane quasi immutata per nove campionati, durante i quali la compagine svizzera era giunta a sfiorare l'Olimpo con la quarta posizione fra i Costruttori nel 2001, guidata da Nick Heidfeld e dal rookie Kimi Raikkonen.
Con BMW il periodo da bigIl cambio epocale avviene per il 2006, quando la BMW molla la Williams e compra il 100 per cento della Sauber, che diventa appunto BMW Sauber. Un impegno in pompa magna, testimoniato da colossali investimenti nel quartier generale di Hinwil: c'è il super computer Albert e una galleria del vento che fa invidia a chiunque, ancora oggi un fiore all'occhiello nel settore. Il patron Peter Sauber fa un passo indietro, a comandare adesso sono gli uomini di Monaco. La BMW Sauber si fa largo e nel 2007 diventa stabilmente la terza forza dello schieramento, per poi festeggiare nel 2008 il primo storico trionfo in Canada insieme a Robert Kubica. Credendoci un po' di più, si poteva persino ambire al titolo approfittando della sfida Ferrari-McLaren, visto che il polacco a due gare dal termine è soltanto a -12 dal futuro iridato Hamilton.
L'addio BMW e la lotta per la sopravvivenzaIn verità la BMW spinge forte sul 2009, convinta di avere tra le mani un'auto perfetta per la rivoluzione regolamentare. Al contrario, sarà un flop gigantesco: abbastanza perché già a luglio la dirigenza voglia bruscamente chiudere con la F1 dopo il Gran Premio di Abu Dhabi. La Sauber all'improvviso deve combattere per sopravvivere, e rischia davvero di essere spazzata. Peter Sauber a 66 anni deve ricomprare le quote della sua creatura, ma la vera ancora di salvezza è il ripescaggio deciso a dicembre dalla FIA per rimediare all'addio della Toyota. A Parigi avevano dato priorità alle nasciture Lotus Racing, Virgin e HRT: con il senno di poi, un bell'errore di valutazione. Riammessa per il rotto della cuffia, la Sauber nel 2010 torna una realtà indipendente, e riallaccia il vecchio rapporto di fornitura con la Ferrari. Da allora la livrea è apparsa spesso spoglia, nonostante i passaggi dal bianco, al grigio delle origini fino al mix di blu e giallo. Fondamentali sono stati i contributi portati dai partner dei vari Sergio Perez, Esteban Gutierrez, Felipe Nasr e Marcus Ericsson, che hanno garantito la copertura necessaria. La Sauber se l'è cavata abbastanza bene fino al 2013, vivendo anche giornate di gloria con il bravo Perez (vicino a vincere sotto la pioggia in Malesia nel 2012), Kamui Kobayashi e Nico Hulkenberg, ma sul lungo periodo la gestione di Monisha Kaltenborn ha mostrato enormi limiti.
La gestione Kaltenborn: baratro quasi sfioratoLa manager austriaca ha fatto carriera all'interno della formazione dove fu assunta come legale nel 2000, diventando azionista e amministratore delegato. Pronto alla pensione, il signor Sauber scelse di consegnare a lei il timone, ma la nave è quasi naufragata. Sportivamente parlando nel 2014 la squadra ha vissuto il suo anno peggiore, ferma a zero lunghezze, mentre il 2015 cominciò con la causa intentata da Giedo van der Garde: l'olandese sventolava un accordo valido, ma la Kaltenorn aveva messo in macchina la coppia Nasr-Ericsson. Tre contratti per due sedili, una figuraccia che a Melbourne è oggetto di imbarazzo di fronte all'intero paddock, e risolta con un risarcimento da 16 milioni di dollari a van der Garde. Nel 2016 l'esistenza della Sauber è di nuovo appesa a un filo, gli stipendi sono erogati a rilento e gli sviluppi tecnici congelati. La piccola Manor è davanti in graduatoria grazie al punticino artigliato da Pascal Wehrlein in Austria. In Brasile c'è il miracolo: Nasr sul circuito di casa termina nono, la Sauber supera in volata la Manor e in pratica la condanna a morte. Soprattutto, però, in estate era stata completata l'acquisizione della squadra da parte del fondo Longbow Finance, connesso a capitali svedesi. Peter Sauber ha ceduto definitivamente il suo team.
Nuova proprietà, nuove prospettiveNel 2017 la Kaltenborn aveva optato in anticipo di tenersi i V6 in versione 2016, mossa che presentava più svantaggi che vantaggi. Ma era anche una soluzione provvisoria in attesa di abbracciare la Honda: a maggio viene annunciata la fornitura della power unit giapponese per il 2018, fra tante perplessità visti i risultati disastrosi della rivale McLaren. La nuova proprietà di Longbow non è per nulla soddisfatta dell'operato della Kaltenborn, poche settimane più tardi si consuma lo strappo: a ereditare il ruolo di team principal è Frederic Vasseur, che subito annulla l'intesa con Honda e rinnova con la Ferrari. In pratica è il primo mattoncino per costruire l'operazione Alfa Romeo, mentre anche la pista dà qualche piccolo segnale incoraggiante, complice il contributo dell'ingegnere Luca Furbatto.
Il legame con Alfa Romeo e l'ultima trasformazionePer il 2018, quindi, la Sauber diventa... Alfa Romeo Sauber. Il marchio del Biscione mancava in F1 dal 1985, ritorna solo da sponsor ma il piano disegnato da Sergio Marchionne è molto più articolato: orchestrare un travaso di tecnologie e uomini con la Ferrari e la galassia FCA. Un volante viene assegnato a Charles Leclerc, fresco vincitore della F2 e nuovo pupillo ferrarista. La partenza è in sordina, ma weekend dopo weekend la C37 cresce assieme al monegasco, lasciandosi dietro Toro Rosso e Williams nel Mondiale. Nel frattempo lo staff ha accolto Simone Resta, direttamente dalla Ferrari, come direttore tecnico. Si diceva che Marchionne, in futuro, avrebbe acquisito la Sauber come "divertimento" personale , dopo il congedo previsto dall'incarico di amministratore delegato FCA. La sua scomparsa prematura non ci darà mai la controprova, ma anche senza di lui il gruppo italoamericano ha deciso di aumentare il proprio coinvolgimento per il 2019: ecco quindi l'Alfa Romeo Racing, anche se la gestione resta la stessa, sede compresa. La distanza fra Hinwil e Maranello, comunque, si fa sempre più ridotta, e lo conferma la nuova line-up formata dal ritrovato Kimi Raikkonen (con Lercler promosso in Ferrari) e Antonio Giovinazzi. Il finlandese riprende il filo di 18 anni fa, al suo fianco l'Italia riavrà un pilota in pianta stabile dai tempi di Liuzzi e Trulli. E porterà ancora più simpatizzanti.