Jacopo RubinoÈ ufficiale, sarà Brendon Hartley a correre il Gran Premio degli Stati Uniti con la Toro Rosso, affiancando il rientrante Daniil Kvyat. In questo weekend il pilota neozelandese è impegnato nella tappa del WEC al Fuji, poi volerà alla volta di Austin per fare il suo esordio in Formula 1. Assolutamente inatteso: nel 2010 era stato escluso dal programma giovani Red Bull, e la sua scalata alla categoria regina sembrava definitivamente compromessa. A distanza di sette stagioni, ecco la chiamata per coprire il vuoto lasciato da Pierre Gasly, che su volere della Honda sarà a Suzuka per giocarsi la vittoria in Super Formula.
"È stata una vera sorpresa, ma finora io non avevo mai rinunciato alla mia ambizione di raggiungere la F1. Un sogno sin da quando ero bambino. Dal periodo in cui ero il pilota di riserva di Red Bull e Toro Rosso sono maturato e ho imparato moltissimo: sono stati anni difficili che mi hanno però reso più forte e più determinato", racconta Hartley, che nel 2009 provò la vettura di Faenza nei rookie test di Jerez.
Quando venne appiedato, Brendon era impegnato nella Formula Renault 3.5 in squadra con Daniel Ricciardo: ma mentre l'australiano macinava risultati, il collega kiwi faticava a soddisfare le aspettative. Così venne rimpiazzato in piena estate da Jean-Eric Vergne, e costretto da allora a proseguire la carriera senza aiuti. In mezzo anche un breve periodo da collaudatore Mercedes, fatto di lavoro al simulatore e partecipando alle prove di Magny-Cours del 2012. Nel frattempo, si è reinventato nelle ruote coperte fino a diventare alfiere Porsche nel Mondiale Endurance, conquistando il titolo 2015 in equipaggio con Mark Webber e Timo Bernhard. Quest'anno ha scritto il suo nome nell'albo d'oro della 24 Ore di Le Mans, e con lo stesso Bernhard e il connazionale Earl Bamber potrebbe aggiudicarsi il secondo titolo personale.
Cosa lo attende ad Austin? "È un tracciato che mi piace molto e dove ho corso proprio di recente", ricorda. Anzi, al Circuit of the Americas ha vinto le ultime tre edizioni della 6 Ore. "Non voglio caricare il mio debutto in F1 di attese eccessive", prosegue, "ma mi sento davvero pronto per affrontarlo". Non si tratta di monoposto, in fondo, ma la complessità dei prototipi LMP1 è seconda (o pari) soltanto a quella delle F1 attuali.
"Con tutta l'esperienza accumulata in questi anni, siamo convinti che farà un ottimo lavoro", dice fiducioso il team principal Franz Tost. Classe 1989, Hartley sarà una new-entry di lusso, potendo fregiarsi di un titolo mondiale: roba da far invidia a molti colleghi. E chissà che per lui non possa aprirsi una porta per il 2018, visto l'abbandono del WEC da parte della Porsche e nonostante la chance di approdare in IndyCar.
Hartley, intanto, riscrive già i libri di storia: sarà il nono driver della Nuova Zelanda a misurarsi nel Circus, ben 33 anni dopo quel GP di Germania 1984 in cui Mike Thackwell fu al via con la Tyrrell. Ma la Nuova Zelanda è soprattutto la terra che ha dato i natali a Dennis Hulme, iridato nel 1967, e a Bruce McLaren, fondatore dell'omonima scuderia.