Jacopo Rubino - XPB ImagesDieci possono bastare. All'idea di avere nuove squadre al via, come piacerebbe anche a molti appassionati, il presidente Stefano Domenicali ha ribadito il concetto: "Al momento, per la Formula 1 non è davvero una necessità". In questi mesi l'argomento è tornato d'attualità per i tentativi di entrare nel Circus da parte del team Andretti, ostacolati però dalla freddezza di Liberty Media. La compagine americana è stata la più "rumorosa" nel comunicare le proprie intenzioni,
aspetto che è stato poco apprezzato, ma ci sono anche altre entità, più silenziose, che ci stanno pensando.
"Ora la F1 è estremamente competitiva, ma serve essere molto forti a livello economico e di competenze: è cruciale far sì che il sistema rimanga stabile a lungo termine. Questa è la fase per investire sul futuro, bisogna essere equilibrati", ha insistito Domenicali a Sky Sports. E sull'arrivo di altre scuderie, ha precisato: "Non sto dicendo che non accadrà, ma deve avvenire passo dopo passo".
Dal 2017, dopo il fallimento della Manor, la griglia conta su 20 monoposto, meno di quanto visto per buona parte della storia del campionato. Questo toglie forse un po' di spettacolo e determina anche una carenza di opportunità per i piloti, specialmente per quei giovani meritevoli, ma costretti a rimanere almeno una stagione in panchina, dopo la gavetta nelle serie propedeutiche. "Avere uno o due team in più potrebbe rendere disponibile qualche sedile aggiuntivo", ha riconosciuto Domenicali, "ma abbiamo bisogno della giusta dimensione affinché questo sport sia di successo".
La scarsa propensione ad allargare lo schieramento, di fatto, è figlia soprattutto di ragionamenti finanziari. Una undicesima formazione, pur chiamata a versare una tassa compensativa di 200 milioni di dollari, porterebbe a spartire i ricavi in fette più piccole. Uno scenario che entusiasma poco chi è già presente, nonostante il budget cap abbia reso ormai profittevole per tutti gareggiare in F1. La salute complessiva delle squadre non è mai stata così buona, facendone alzare il prezzo per potenziali compratori. Ne sa qualcosa proprio Michael Andretti, che lo scorso anno aveva cercato di rilevare la Sauber (attualmente in pista come Alfa Romeo) per 600 milioni di dollari, prima di imbastire un progetto partendo da zero.
Sul fronte degli oppositori spicca ad esempio Toto Wolff, boss Mercedes: "Il valore della F1 è dato dal numero limitato di franchigie, e non vogliamo diluirlo. Un nuovo team deve portare un valore aggiunto. Andretti è un grande nome, ma questo è sport, è business, e bisogna capire cosa può dare in più". Il manager austriaco, invece, ha sempre ben accolto la prospettiva di misurarsi contro Audi e Porsche.
Difficilmente, di certo, si sarebbe fatta resistenza ad Audi se avesse scelto di allestire una compagine in proprio, invece che debuttare nel 2026 da motorista rilevando un'ampia maggioranza della stessa Sauber (e senza quindi aumentare il numero di macchine iscritte). Per adesso è sfumata l'ipotesi di un ingresso della cugina Porsche, vista la trattativa fallita con Red Bull, ma i regolamenti delle future power unit sono stati pensati per attirare nuovi marchi. E Domenicali, di recente, ha pure rivelato: "Ci sono altri costruttori seduti ai tavoli tecnici che preferiscono non uscire allo scoperto". Forse sono stati solo sondaggi, ma potrebbero tramutarsi in sviluppi suggestivi.
La F1 "parco giochi" delle Case automobilistiche la si è già vista nei primi anni Duemila, e si è dissolta in fretta quando Honda, BMW e Toyota, e parzialmente Renault, tagliarono la corda. "Ad oggi, mai come in precedenza, abbiamo un mix di team, costruttori e fornitori di primo livello. Se qualcosa cambiasse, sappiamo cosa fare", ha garantito Domenicali. Da sempre però, le case ragionano su orizzonti più brevi dei campionati in cui si impegnano, e senza uno zoccolo duro di realtà indipendenti ci si espone al rischio di terremoti. Ecco perché, in fondo, è forse un po' miope sbarrare la strada ad Andretti in modo così ostinato, tanto più pensando che investirà 200 milioni di dollari per realizzare un nuovo quartier generale vicino a Indianapolis da 230 ettari di estensione. La solidità e il prestigio del soggetto non dovrebbero essere in discussione.