Jacopo Rubino
Si chiama SF90, una scelta voluta per celebrare i 90 anni della Scuderia fondata nel 1929 da Enzo Ferrari, inizialmente per correre con le Alfa Romeo. Corsi e ricorsi storici. Il presente, invece, è la nuova vettura lanciata per la stagione 2019 di Formula 1: l'obiettivo, ancora una volta, è di fermare il dominio Mercedes e interrompere l'astinenza iridata che dura ormai da un decennio.
Salita scenograficamente sul palco a Maranello, la SF90 (non c'è più la lettera H, che evidenziava la motorizzazione ibrida) segna un momento importante: è la prima monoposto nata senza Sergio Marchionne, il presidente artefice della ritrovata competitività, e con Mattia Binotto, già direttore tecnico, diventato team principal in sostituzione di Maurizio Arrivabene. Il passaggio di consegne è stato ricordato sul palco dal nuovo amministratore delegato Louis Carey Camilleri. "Essere Ferrari è appartenenza, determinazione, coraggio. È un orgoglio e un dovere nel perserverare la tradizione", ha affermato Binotto nel suo intervento. "Dobbiamo lavorare duramente, siamo concentrati e abbiamo voglia di partire. Nel 2018 non abbiamo vinto il titolo, ma ci sono stati tanti aspetti positivi".
Il progetto evolve i concetti della SF71-H che lo scorso anno ha conquistato sei vittorie con Sebastian Vettel e Kimi Raikkonen, ora sostituito da Charles Leclerc. "Non è una rivoluzione", ha confermato Binotto, "ma nei dettagli abbiamo spinto sull'innovazione". La prima differenza che salta all'occhio è nella forma dell'airscope, che da ovale torna triangolare e con una superficie ridotta: segno che il propulsore 064 può resistere forse a temperature ancora più elevate, mentre la sezione del cofano ristretta può aiutare ad avere una migliore penetrazione aerodinamica. "È stato fatto un grande lavoro nell'installazione della power unit", è stato il commento.
In apparenza ci sono variazioni solo minime nella zona del muso, anche se ovviamente l'ala anteriore semplificata, come richiesto dalle nuove regole, influenza la fluidodinamica dell'intera monoposto. E la forma ricorda quella dell'Alfa vista ieri in azione a Fiorano. Molto pulita (forse troppo, in attesa di scendere in pista...) la sezione di pance e bargeboards, dove lo staff del Cavallino sembra aver insistito sui concetti lanciati già nel 2017, facendo poi scuola. Gli specchietti non sono più fissati all'Halo, ma alle appendici sulle stesse pance. Nella vista laterale, inoltre, si nota il mantenimento del cosiddetto assetto "rake", con maggiore altezza da terra del retotreno per accelerare lo scorrimento dell'aria sotto al fondo.
Capitolo livrea: il rosso è diventato opaco, come anticipato da alcuni rumours. Una scelta dettata in parte da motivi di sponsorizzazione, ma che garantisce allo stesso tempo un piccolo guadagno di peso ed evita che i "marbles" si attacchino alla carrozzeria, disturbando l'aerodinamica durante la gara. Il marchio Mission Winnow introdotto dallo scorso Gran Premio del Giappone, legato ai progetti "extratabacco" di Philip Morris, ora è però tinto di nero, così come l'intero Halo, i due profili superiori dell'ala anteriore e una fetta della pinna sul cofano, dove è stato rimpicciolito il tricolore italiano. In generale, si può dire che sia la Ferrari con più parti scure dal 1996, con la F310 (la prima a dieci cilindri, e la prima di Michael Schumacher) che fu l'ultima ad avere gli alettoni verniciati di nero.