Marco CortesiE’ finita. La Nissan GT-R NISMO LMP1 è stata ufficialmente messa ad eterno riposo dalla casa nipponica al termine di una stagione segnata dalla costruzione di aspettative enormi, da delusioni altrettanto grandi e da un disperato quanto vano tentativo di rimettere al passo un progetto nato sotto una cattiva stella. Un brutto colpo per la casa in termini di immagine, in particolare pensando al fatto che, in quel programma, di nipponico ci fosse veramente poco.
Una vettura che parlava ingleseLa vettura, progettata dal visionario designer statunitense Ben Bowlby, realizzata dall’AAR di Dan Gurney e sviluppata negli Stati Uniti, ha raccolto sin da subito grandi, grandissimi, anzi enormi speranze mai sostenute dai fatti. Presentata con un costosissimo spot durante il SuperBowl, la GT-R LMP1 non solo non ha mai raggiunto prestazioni lontanamente simili a quelle di una LMP1, ma ha lasciato terra bruciata, costando il posto all’artefice della strategia internazionale Nissan degli ultimi anni, Darren Cox, che pure aveva realizzato ottime cose in particolare con la GT Academy.
Ottimismo rimasto sulla cartaL’enorme ottimismo più volte ostentato, aveva subito lasciato posto ai dubbi: si dice addirittura che, per i primi giri, la vettura fosse stata mandata fuori ottimisticamente senza alettone, sperando che la geniale conformazione facesse il resto. Trazione anteriore e motore anteriore, un azzardo incredibile, tanto più se si pensa ai cavalli promessi (almeno 1250) che non si sono mai visti, e ai sistemi ibridi rimasti solo sulla carta. Alla fine, si è parlato di più o meno 500 cavalli “strizzati” dal V6 turbo da 3 litri. Così, i toni delle prime fasi in con cui quasi si gridava al miracolo si sono presto ridimensionati pesantemente, e a Le Mans l’obiettivo è diventato raggiungere le LMP2. Peccato che, per farlo, occorresse finire la corsa percorrendo almeno il 70% dei giri.
Una strada senza ritornoMentre anche i potenziali piloti si defilavano, cercando di evitare quello che ormai sembrava un buco nero, in Nissan si è tentato un disperato salvataggio con Michael Carcamo a capo della divisione che comunque ha continuato a parlare inglese. Sono arrivati così una serie di aggiornamenti tutti votati ad allontanarsi ulteriormente dal progetto iniziale, riaccodandosi alle tendenze tradizionali del motorsport, con la fioritura di ali e alette varie. Nella speranza che i sistemi ibridi derivati dai propulsori Renault F1 facessero il miracolo. Tutto inutile, e dal Giappone è arrivato lo stop: non ha senso essere la macchietta di una serie così in crescita e sempre sotto i riflettori.
Un bruciante insuccessoPoi, una gestione troppo scollegata dalla Casa madre, dal budget non all’altezza di quello delle rivali, un progetto tanto forzatamente new age (perché la trazione anteriore quando perfino l’auto di serie è integrale?) da risultare incomprensibile perfino a chi l’aveva ideato. Chissà se da Nissan arriverà un nuovo tentativo di riscossa.
Ribaltare una storia fatta di difficoltàA quasi vent’anni dall’ultimo tentativo serio, tralasciando gli esperimenti DeltaWing e ZEOD, si chiude un nuovo capitolo di una storia che spesso ha visto la casa di Yokohama restare un passo indietro ai rivali. Nel 1997, il debutto della splendida R390 (sotto), ma invecchiata ancor prima di debuttare contro mostri come Porsche GT1 e McLaren F1 GTR che sfruttavano meglio i buchi regolamentari. Si regalò comunque un terzo posto. Poco dopo, si passò da TWR, che aveva realizzato la R390, ad una strana accoppiata composta da G-Force e Courage, con una R391 che venne letteralmente sbranata dalle proposte di BMW, Toyota e Audi. Oggi la storia si è ripetuta.