Massimo Costa - XPB ImagesFormula E contro Formula 1? Sui social, nelle rubriche televisive a quattro ruote, tra gli appassionati, è ormai un dato di fatto “il sentire” che la serie elettrica è assai più divertente della massima categoria del motorsport. Un po’ di snobismo, l’acclarato desiderio di criticare sempre e comunque la F1, anche quando non lo merita, accompagnano da tempo i dibattiti. La F1 diventa così Formula Noia, come già lo si diceva negli anni Settanta, Ottanta, Novanta eccetera, a dispetto di gare divertenti, se non addirittura fantastiche, alle quali abbiamo assistito (per esempio) negli ultimi tre anni. Mentre la Formula E pare il nuovo Moloch, nonostante circuiti cittadini anonimi, per lo più insignificanti, bruttini, e uno spettacolo non sempre di qualità.
Ma al di là del parere di pancia degli appassionati, la Formula E può veramente essere affiancata alla Formula 1? "Al momento non è possibile immaginare che la FE sostituisca la F1. Non esistono auto elettriche capaci di percorrere 300 chilometri (la distanza di un Gran Premio, ndr) alla velocità delle Formula 1. Ci vorranno decenni prima che possa accadere, se accadrà. La F1 può essere pensata solamente con un motore ibrido, questa è la scelta giusta. Il prossimo passo sarà capire se si possono utilizzare carburanti più ecologici”, è stata la sentenza (qualche mese fa) di Jean Todt, il presidente della FIA che più di tutti ha creduto nel progetto lanciato da Alejandro Agag.
Dunque, se lo sostiene Todt, c’è poco da girarci attorno. Ma anche Chase Carey, gran boss di Liberty Media, alla CNN, sollecitato sul confronto tra le due categorie, aveva voluto dire la sua: “Credo che la Formula E ad oggi sia qualcosa di molto diverso, principalmente è una causa sociale, e una festa nelle città. Per la F1 invece, è importante che tutto sia speciale, la F1 combina tecnologia e sport, sconvolge i sensi. Abbiamo piloti incredibili che prendono grandi rischi ed hanno un enorme talento. È davvero uno spettacolo. Non è solo un evento di due ore, ci sono tante cose che accadono. C'è una profondità, una complessità che lo rende unico, e per noi è importante sottolinearlo nei confronti di qualsiasi altro prodotto”.
A questi commenti difficilmente contestabili, si aggiunge il parere di Toto Wolff, che pure ha voluto entrare nella Formula E con un team Mercedes, e per fare questo ha dovuto sacrificare la storica presenza nel DTM della Casa di Stoccarda. Nei box al primo evento stagionale 2019-2020 in Arabia Saudita, il team principal Mercedes si è lasciato sfuggire: “È un campionato molto diverso rispetto alla F1, i circuiti sembrano quelli di Mario Kart, ma con piloti veri”. Mentre Flavio Briatore, presente a Diriyah, quando si aggirava sullo schieramento di partenza si guardava attorno dicendo “ma non conosco nessun pilota”, esagerando un tantino, ma come sempre centrando uno dei problemi della Formula E: la mancanza di nomi che possano attirare ed esaltare le folle.
Questo punto sarà difficile, se non impossibile, da colmare perché la Formula E oggi e probabilmente anche domani, rappresenta un interessante sfogo per quei piloti che non riescono a raggiungere la F1 oppure che ne sono usciti senza ottenere particolari risultati, come Jean-Eric Vergne per esempio, o Stoffel Vandoorne, Pascal Wehrlein, Lucas Di Grassi e tanti altri che, per inciso, sono piloti di assoluta qualità, ma che pochi conoscono. L’unica stella, capace di vincere Gran Premi di F1 e di sfiorare la conquista del mondiale, è Felipe Massa, ma non se la passa molto bene dopo una prima stagione anonima e un avvio di questa edizione del campionato piuttosto incerta.
L’altro aspetto che esalta la differenza tra Formula E e Formula 1 è ovviamente la velocità. Non c’è niente di più esaltante nel vedere una monoposto della massima categoria affrontare a oltre 320 orari l’Eau Rouge di Spa o la Copse di Silverstone da 250 km/h, circuito che propone le successive rapide curve Maggotts, Becketts, Chapel a cui vi si arriva a 310 orari per uscirne a 240. O l’ingresso senza respiro della Piscina a Monte-Carlo e via dicendo. L’elenco è lungo. La Formula E sta lavorando sodo in questo senso, proprio per cercare di arricchire le velocità massime. Ricordiamo quando le prime monoposto della categoria raggiungevano a stento la velocità di una Formula Renault 2.0 litri, come ebbe a dire l’ex F1 Sebastien Buemi nel 2015: “Mi pare di essere tornato indietro di diversi anni”.
Quando si è corso su un circuito tradizionale, come quello di Città del Messico, la differenza di velocità è apparsa evidente ripensando sulla stessa pista a come “lavorano” le F1, cosa che invece non è visibile all’occhio televisivo tra i muretti dei circuiti cittadini. Tanto che abbiamo sentito in questi anni più di un addetto ai lavori sostenere che la volontà nel disputare le gare nelle città (o periferia), sia anche dettata dall’esigenza di nascondere le basse prestazioni delle monoposto elettriche. Con le telecamere posizionate nei punti giusti, pare proprio che le vetture della Formula E siano velocissime sfiorando i muri, ma se andiamo a leggere i dati, per esempio di Monte-Carlo, la media del vincitore Lewis Hamilton è stata di 150 km/h mentre quella di Alexander Sims nell’ePrix di Diriyah si è fermata a 96 km/h.
Come detto sopra e come ha appurato lo stesso Todt, per un motore elettrico è impensabile poter raggiungere gli spunti di un propulsore in uso in F1. Si sta, però, lavorando per migliorare, crescere, e per questo si sta guardando avanti, al campionato del 2022-2023, che sarà la nona stagione della Formula E. Le Gen3 saranno più leggere raggiungendo i 780 kg, 120 in meno delle attuali Gen2, mentre la potenza passerà dagli attuali 272 a 476 cavalli.
Il punto forte della Formula E rimane quello dei costi, che sono nulla per un costruttore rispetto a quanto potrebbe spendere in F1 o semplicemente nel WEC. Una stagione nella serie elettrica richiede un budget che si aggira sui 40 milioni di euro. Poi, ovviamente, ci sono spese aggiuntive per il personale, i piloti che sono pagati e non paganti, ma è chiaro che con un investimento minimo se confrontato alla F1 o anche all’Endurance LMP1, si raggiunge una eccellente visibilità mediatica in quanto le gare della Formula E sono trasmesse in TV e vi è una buona copertura sulla stampa.
Per una Casa automobilistica non è da sottovalutare l’impatto positivo per l’immagine nei confronti della gente comune, in quanto si lega il marchio (Audi, BMW, DS, Jaguar, Mahindra, Mercedes, NIO, Nissan, Penske, Porsche) al discorso ambientale, al “verde pulito”, e così via. E il tutto con il minimo sforzo economico. Se i risultati non arrivano, poco male, la pressione mediatica è inesistente. Se arriva qualche successo, lo si sfrutta nel migliore dei modi. Un esempio lampante è rappresentato dalla Jaguar. Nella sua breve e ingloriosa avventura in F1 tra il 2000 e il 2002, tra errori di gestione e vetture non competitive, i pessimi risultati rimediati stavano danneggiando come non mai un marchio pur glorioso. Tutti sapevano che la Jaguar era in F1 a rimediare figuracce. Da qui, la fuga immediata.
Nella Formula E invece, la zona di confort è totale. Non c’è l’attenzione mediatica della F1, zero pressione, ci si può permettere di vivacchiare, proprio come ha fatto la Jaguar presente in Formula E dal campionato 2016-2017, il terzo della storia, nel quale si è piazzata decima e ultima, concludendo poi nelle stagioni successive in sesta e settima posizione, salvo poi compiere notevoli passi in avanti in questa prima fase di stagione, in attesa della ripartenza. Al di là dell’attuale momento positivo della Jaguar, gli scadenti e precedenti risultati non avevano inficiato la presenza del costruttore britannico in Formula E, continuando nel lanciare serenamente il suo messaggio ecologico.
Anche se il suo mentore Agag ha più volte cercato a parole il confronto con la F1, ben sapendo del resto di entrare in un campo minato, l’evidenza dei fatti è quella riportata nelle parole di Todt e Carey. La Formula 1 rimane e rimarrà inavvicinabile, ma ciò non significa che la Formula E non possa crescere ulteriormente creandosi un proprio pubblico, fedele, imitando categorie come l’Endurance o anche il DTM che nel corso degli anni sono riuscite ad attirare dalla loro parte tantissimi appassionati di nicchia. L’importante è rendersene conto.