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8 Gen [15:31]

Gli 80 anni di Jacky Ickx,
personaggio irripetibile

Alfredo Filippone

Il 1° gennaio, con l’inizio del 2025, Jacky Ickx ha compiuto 80 anni. Eh già, il tempo passa per tutti e all’invidiabile traguardo è arrivato anche lui, che s’impose alla ribalta giovanissimo, a metà degli anni ’60, da campione precoce e sicuro di sè, una specie di Max Verstappen di quei tempi. Da allora, è passata tanta acqua fino a farlo diventare un monumento del nostro sport (e nazionale, nel suo Belgio) e un personaggio irripetibile per spessore umano, che in parte aveva di suo da sempre e in parte è il frutto di una carriera e di una vita ricchissime di esperienze di ogni segno.

Lui dice che la sua prima fortuna è stata avere dei genitori comprensivi. Erano disperati perchè non voleva studiare ed era disposto a diventare... giardiniere piuttosto che continuare la scuola. Il padre, che era giornalista d’auto, ebbe la buona intuizione di regalargli una moto da cross a 15 anni, nella speranza che potesse sfogarsi e trovare un certo equilibrio. Fu una folgorazione, e di colpo trovò la sua strada.

Il resto è storia. Dopo i primi successi con le due ruote, passa subito alle vetture Turismo, vincendo la 24 Ore del Nürburgring e la 24 Ore di Spa. In F.1 debutta nel 1966, a 21 anni, con una Matra F.2 schierata da Ken Tyrrell al Nürburgring, unica gara dove le F2 potevano rimpolpare la griglia, strabiliando tutti (è quarto assoluto sulla griglia). Il titolo di F2 lo vince l’anno dopo e nel 1968 Enzo Ferrari lo chiama alla corte di Maranello.

In Formula 1, purtroppo, le cose non andranno bene del tutto, capitando spesso in team buoni (Ferrari, Brabham, Lotus, Williams, Ligier...) al momento sbagliato, ma è comunque due volte vice-campione (nel ’69 e nel ’70), vince 8 GP, si conferma "re della pioggia" e chiude la carriera in monoposto nel 1979. La fortuna gli sorride invece, e parecchio, nelle gare di durata, dove vince due volte (1982-83) il titolo mondiale piloti istituito nel 1979, e raccoglie più di quaranta vittorie, tra cui sei alla 24 Ore di Le Mans, la prima già nel 1969, con la GT40 e Jackie Oliver (foto sotto) in uno degli epici duelli Ford-Ferrari.



In numero di successi nella grande classica, Tom Kristensen lo ha superato, ma “Monsieur Le Mans” nell’immaginario collettivo rimane lui, che la gara l’ha vinta con tre marche diverse, e ha scritto pagine di storia, con duelli epici, rimonte impossibili, o mettendo in scena la famosa protesta contro la pericolosa partenza ‘a piedi’. C’è anche un titolo Can-Am nel 1979 nell’incredibile e variegato palmarès di Ickx che avrebbe potuto chiudere del tutto la carriera a fine 1985.

Ma nel frattempo, aveva scoperto la Parigi-Dakar e l’Africa, che ammette, gli ha stravolto la vita, vissuta fino ad allora da privilegiato, concentrato sulla sua carriera di sportivo di alto livello: “Di colpo, mi si è aperto l’orizzonte, ho visto cos’era il mondo, mi sono aperto a culture e persone diverse”. Da parecchio tempo non era più il “Pierino la Peste” degli inizi (il soprannome glielo affibiò l'allora direttore di Autosprint Marcello Sabbatini) e con gli anni si era forgiato la reputazione di grande saggio del motorsport, ma l’Africa lo ha fatto diventare molto più empatico, caloroso e altruista.

Gli ha dato un ultimo successo di rilievo (la Dakar del 1983, su Mercedes, insieme all’attore Claude Brasseur), gliene ha negato un altro nel 1989, per colpa di una monetina di 10 franchi, quella con cui Jean Todt sancì la fine del duello fratricida con Vatanen in casa Peugeot e decise il vincitore a testa o croce, e gli ha inflitto una seconda grande tragedia, la morte dell’amico navigatore Christian Tarin al Faraoni 1991 nel rogo della Citroën partita in looping.

Un altro incontro ravvicinato con la morte, dopo quello dell’incidente con Stefan Bellof alla 1000 km di Spa del 1985, due episodi che lo hanno segnato profondamente allorchè da pilota nel periodo più pericoloso della storia delle corse, la sorte lo aveva risparmiato: scampato al famoso rogo della sua Ferrari al Jarama nel 1970 (foto sotto), per fortuna solo le caviglie fratturate nel tremendo botto con l’Ensign a Watkins Glen nel 1976.



“Se sono ancora qui”, ama dire spesso oggi, “non è per bravura o per coraggio, ma solo perchè ho avuto fortuna, quella che tanti altri, anche con molto più talento di me, non hanno avuto.” Gli piace anche ripetere la sua gratitudine per tutti coloro che hanno reso possibile i suoi successi: “I piloti sono egocentrici per natura, ma dopo ci si rende conto che si è solo la punta dell’iceberg, che nulla sarebbe stato possibile senza il lavoro e la passione delle tante persone che lavorano con te per conseguire un obiettivo comune. Non si è nulla senza gli altri.”

Lo ha ripetuto anche nella bella intervista concessa in questi giorni alla RTBF, la tv belga, ( che potete vedere qui: intervista Ickx) da fresco ottantenne, in piena forma e ancora molto attivo, come racing adviser di Gemini, ambasciatore di vari marchi di prestigio o grand marshall in eventi endurance, dove ripassa alcuni momenti della sua lunga carriera sportiva e di una vita personale non meno intensa: tre matrimoni, cinque figli suoi e uno arrivato con l’attuale moglie, la cantante burundese Nadja Kin, a confermare l’indelebile legame con l’Africa, dove torna spesso e si occupa di tante iniziative che promuove con grande discrezione.

E tentando una conclusione ad un’avventura che conclusa non è, dice in sostanza: “La vita è un bene fragile e ci insegna l’umiltà, ma nonostante i colpi e le ferite che ci può infierire, ci dà anche la possibilità di riprenderci, perchè la vita è sempre più forte. Viviamo in un mondo in pieno mutamento, questa meravigliosa palla su cui viaggiamo nello spaio da milioni di anni, va avanti. La società cambia, ma oggi, nell’era del digitale, i giovani, in cui credo molto, hanno strumenti di conoscenza e di comunicazione e opportunità eccezionali, in ogni parte del mondo. A loro dico: osate, sognate e non arrendetevi mai.”
gdlracing