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6 Ago [13:43]

Intervista a Fabrizio Gollin, vincitore della 24 Ore di Spa

E’ il pilota (italiano) del momento. Nel giro di un mese e mezzo ha collezionato la bellezza di tre podi in altrettante corse-mito. Fabrizio Gollin, trentaduenne trevigiano, è il fresco vincitore assoluto della 24 Ore di Spa (in equipaggio con Hezemans, Fassler e Deletraz a bordo della Chevy Corvette C6R del team Phoenix), dopo aver conquistato il terzo posto tra le GT1, settimo assoluto, alla 24 Ore di Le Mans sull’Aston Martin DBR9 del team Larbre, con Elgaard e Bouchut, e la medaglia di bronzo (e diciottesima piazza assoluta su 230 auto) della classe SP6 alla 24 Ore del Nurburgring (con Belicchi, Orioli e Cappellari su una Bmw M3 3.2 Gtr del team Duller).

Come ci si sente dopo aver infilato una sequenza di risultati simili?

“Ogni volta che finisco una 24 Ore sono contento. Sono gare in cui già il vedere la bandiera a scacchi è un successo. Certo, le vittorie portano con sè una soddisfazione particolare, ancora più completa, ma credetemi, arrivare al traguardo al Nurburgring mi ha dato un’emozione incredibile. Pensare che per quattro volte al giro la macchina staccava le ruote da terra mi mette ancora i brividi. Correre quella 24 Ore ti fa sentire un gladiatore più che un pilota. Pensando a Le Mans, anche lì è stata una soddisfazione impagabile. Nelle due precedenti occasioni non avevo terminato la gara (lo scorso anno non era neppure salito in macchina causa l’incidente del coequipier Babini al terzo giro n.d.r.) Terminare sul podio è stato grandioso.”

Prima di affrontare queste tre gare, quale temevi di più?

“Non ho mai pensato: ‘Oddio devo correre tre 24 Ore, ce la farò?’ Mentalmente ho cercato di affrontare una gara alla volta. In una 24 ore andar forte è quasi facile, il complicato è far sì che tutto funzioni al meglio: squadra, strategie, eccetera. A Spa e Le Mans, dal punto di vista del pilotaggio il problema è che sono due gare sprint, dove anche i decimi di secondo sono fondamentali. Tuttavia ammetto che, tre mesi fa, quando pensavo al Nurburgring ero molto preoccupato. Non sapevo se ero in grado di memorizzare tutti e 25 i km di pista. In più tutti mi dicevano di quanto fosse pericoloso. Due settimane prima, con i miei compagni di equipaggio, siamo andati là a girare con vetture stradali. Anziché tranquillizzarmi, il test, pur utile, ha contribuito a farmi agitare. Poi, in gara ho visto dei commissari con una professionalità fuori dal comune minimizzare i rischi. Certo, le vie di fuga sono quelle che sono, ma la rapidità e l’efficiacia con cui venivano messi in sicurezza i punti critici della pista ha fatto svanire le preoccupazioni.”

E sei andato fortissimo. Alla tua prima partecipazione, in una gara priva di prove libere, hai siglato un tempo di solo mezzo secondo più lento (su un giro di oltre nove minuti) di quello siglato da Hans Stuck nel 2006. Stuck, che vinse al Nurburgring già nel 1972, è forse il pilota-simbolo di quella pista.

“Che bello essere paragonato a lui! Dopo la corsa ero soddisfatto per aver dimostrato, anche a me stesso, di essere in grado di andare forte da subito sul ‘Nordschleife’. Ma si poteva anche fare meglio. E’ impossibile trovare un giro senza traffico. Quel tempo è uscito nel mio ultimo turno di guida perché sono riuscito a trovare quei riferimenti per staccate e traiettorie che inizialmente non avevo. Gli stessi riferimenti che è stato bravo a trovare Belicchi quando girava nelle fasi di gara col bagnato. Se non avessimo dovuto sostituire scarico e albero di trasmissione durante la notte saremmo arrivati nei primi dieci, dato che anche Cappellari ed Orioli si sono comportati egregiamente.”

Professionale e diplomatico nelle risposte, una volta svestiti i panni dell’intervistato “Gol” si trasforma in un simpatico compagnone. Spassoso, quando simula un passaggio particolarmente difficile effettuato in pista. Assume la postura del pilota, si contorce mimando gli scuotimenti della vettura, stringe i denti e emette il suono del motore con la bocca. Uno spettacolo degno di un rumorista di talento. E alla fine, l’immancabile, fragorosa (e contagiosa) risata.

Guardando ai successi ottenuti in GT, non ha un po’ di rammarico per quel che non è accaduto con le monoposto?

“Non ho mai navigato nell’oro. A parte il successo nella F.Europa Boxer che mi ha dato la spinta, anche economica, per andare avanti, mi sono sempre scontrato con realtà molto più grandi di me. Ai tempi della F.3000 mi sarebbe piaciuto correre con la Super Nova o col team di Helmut Marko, ma io ero sempre quello che firmava per ultimo, perché tribolavo a chiudere i budget, e i sedili migliori erano già occupati. Quando passai alle GT, ricordo il mio primo test con una Viper. Ero abituato a girar poco con le formule per via dei costi proibitivi, così chiesi quanti passaggi dovevo fare. Mi risposero che il motore durava per una stagione intera, un treno di gomme durava per un turno di due ore e se volevo potevo anche girare un’ora e mezza senza fermarmi. Avevo le lacrime agli occhi, non ci potevo credere. Più giri più vai forte, non c’è storia. Peccato che anche il GT stia cambiando in peggio sotto il profilo dei costi. In concomitanza con l’avvento di Ferrari prima e Maserati poi, i budget necessari per le squadre si sono impennati. Eppure per andar forte non è necessario spendere cifre folli. La Corvette con cui ho vinto a Spa, ad esempio, è un’auto fantastica sotto tutti i punti di vista ed estremamente economica da gestire. Credo che contenere i costi sia possibile. Trovo inutile strozzare l’ammissione d’aria delle Gt1 e poi essere costretti a preparare i motori per recuperare i cavalli perduti. Una gran turismo, già di serie, mediamente ha una potenza sufficiente per correre (attorno ai 500 cv), basterebbe adottare regolamenti simili al Gt3 per avere un drastico abbassamento delle spese.”

Valerio Faccini
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