Michele Montesano
Determinazione, tenacia e dedizione, tutte caratteristiche che hanno accompagnato Mirko Bortolotti nel corso della sua carriera agonistica iniziata dai kart, passata alle formule, fino ad approdare alla corte di Lamborghini. Proprio con il costruttore di Sant’Agata Bolognese, il pilota trentino ha fatto incetta di successi nei campionati Gran Turismo, oltre a conquistare le classiche dell’Endurance quali la 24 Ore di Daytona, la 12 Ore di Sebring e la Petit Le Mans, solo per citarne alcune.
Un percorso che l’ha portato, poco più di un mese fa, a raggiungere un altro prestigioso traguardo: quello del titolo di ‘Meister’ del DTM. Un obiettivo fortemente voluto da Bortolotti e, in diverse occasioni, solamente sfiorato. Al termine di una stagione intensa il trentino, costantemente supportato da Lamborghini e dal team SSR Performance, è entrato nella storia del campionato tedesco diventando il terzo italiano a conquistarlo succedendo a piloti del calibro di Roberto Ravaglia, campione nel 1989 con la BMW, e Nicola Larini vincitore nel 1993 con l’Alfa Romeo 155 V6TI.
In occasione delle Lamborghini World Finals di Jerez de la Frontera, abbiamo avuto occasione di incontrare Bortolotti e ripercorrere i momenti fatidici della finale del DTM andata in scena sul circuito di Hockenheim. Non solo, con il pilota Lamborghini abbiamo analizzato anche una stagione vissuta alternandosi tra la Huracán GT3 e il debutto della SC63 LMDh, fino a sbirciare cosa lo attenderà nel prossimo futuro.
Hai vissuto un finale di stagione tutto in crescendo: nell'arco di una settimana hai vinto prima la Petit Le Mans in IMSA E poi ti sei laureato campione nel DTM. Come hai gestito questo doppio impegno?
“Ammetto che avere la Petit Le Mans la settimana prima di un finale di stagione così importante, come quello del DTM, non era proprio l'ideale. C'era stata anche una mezza idea di non disputarla. Poi sia Lamborghini che Iron Lynx mi hanno voluto al via, perché la Petit Le Mans è sempre una gara molto importante. Col senno di poi, devo dire che sono molto felice di esserci andato. Siamo riusciti a vincere, è stata la nostra prima vittoria in GTD Pro in IMSA. Sommato alle due Daytona e alla vittoria di Sebring credo sia un bel risultato per quanto riguarda le gare Endurance in America”.
Indubbiamente è stata una scelta vincente affrontare la Petit Le Mans…
“Ripensandoci a posteriori, devo dire che è stato molto positivo esserci andato. Perché le settimane prima di una gara, oltretutto così importante come quella di Hockenheim, inizi a farti degli strani pensieri. Credo sia stato comunque un buon modo di distrarmi facendo il mio mestiere, è stato senz’altro più che positivo. Non credo che abbia inciso alla fine su Hockenheim al 100%, però a livello mentale è stato molto utile aver preso parte il weekend prima alla gara dell’IMSA”.
Sei arrivato a Hockenheim, ultimo appuntamento del DTM, con quindici punti di vantaggio. Dopo gara 1 ti sei trovato alle spalle di Kelvin van der Linde, hai dovuto ricostruire tutto di nuovo…
“Devo dire che quella del DTM è stata una stagione vissuta sul filo del rasoio. Non so quante volte ci siamo scambiati la leadership in campionato. Arrivare in testa alla classifica nell’ultimo appuntamento di Hockenheim, anche se con soli quindici punti, è stato sicuramente un vantaggio. Uscire dal sabato vedendo che non sei più leader ed è tutto da rifare dimostra quanto sia tirato il DTM. Restava solo una qualifica e una gara per ribaltare la situazione”.
Quando hai capito che potevi conquistare il titolo?
“La pole nella qualifica delle domenica è stata alla base di tutto ma, finché non viene sventolata la bandiera a scacchi, puoi aspettarti sempre di tutto. La gara si era messa bene per noi perché van der Linde aveva avuto delle difficoltà al primo giro perdendo tante posizioni. Ero in testa ma fin quando non ho effettuato il pit-stop non ero ancora tranquillo. Dopo l’obiettivo era finire la gara davanti a van der Linde, quindi con il team SSR Performance abbiamo deciso per una strategia di gara per coprire alcuni piloti, come ad esempio René Rast, e l’eventualità di una safety car. È stata una gara estremamente tattica ma alla fine abbiamo fatto tutto al meglio vincendo il titolo”.
Cosa vuol dire vincere il DTM da italiano e con una vettura italiana?
“Ha un valore altissimo, sicuramente il titolo più importante della mia carriera. Ho avuto la fortuna di vincerne alcuni, però questo è sicuramente quello che reputo quello più importante, quello più sudato. Guardando tutto l'insieme ha un valore doppio: con una vettura italiana e da pilota italiano vinci in un campionato tedesco con tutti i principali brand teutonici come avversari. Battere piloti e squadre di altissimo livello è sicuramente appagante. Sono molto orgoglioso di questo, anche poter essere il terzo italiano della storia ad aver vinto il DTM è una cosa molto speciale”.
Com’è cambiato il DTM dal passaggio di gestione dall’ITR all’ADAC?
“Dal passaggio da ITR ad ADAC sono cambiate un po' di cose. Innanzitutto il cambiamento maggiore in termini di guida sono stati gli pneumatici, infatti siamo passati da Michelin a Pirelli. Inoltre anche la gestione del BOP è passata da AVL a SRO. A livello di organizzazione mi ricorda di più quello dell'ADAC GT Masters. Mentre a livello mediatico è cambiato molto poco, perché il DTM ha molta importanza in Germania e nei paesi di lingua tedesca. Da questo punto di vista credo che il campionato stia facendo un ottimo lavoro anche di promozione, si vede anche dalla presenza di tanti tifosi nei weekend di gara. Questa cosa era diversa con la gestione dell’ITR perché avevano una strategia di allargarsi andando a correre in diverse piste europee non rimanendo confinati solamente in Germania”.
Però ci sono ancora due circuiti fuori dalla Germania….
“Si. Attualmente abbiamo comunque due gare fuori dalla Germania a Zandvoort e al RedBull Ring, ma sono delle piste che sono molto acclamate dai tifosi tedeschi. Da questo punto di vista, credo sia stata la scelta giusta. Perché due anni fa abbiamo corso a Portimao su una pista bellissima ma, purtroppo, con poco pubblico, così come anche a Imola. Da questo punto di vista penso siano state prese le decisioni giuste per rimanere su piste più tradizionali per un campionato tedesco”.
Quindi, anche con la presenza di due Case italiane, sarà difficile un possibile ritorno del DTM nel nostro paese?
“Purtroppo credo che al momento non ci sia questa possibilità. So che l'organizzazione del DTM sta pensando a eventuali piste fuori dalla Germania, si è parlato di Monza ma anche di un ritorno in Portogallo e Spagna, oltre alla possibilità di un circuito cittadino. Ma il calendario della prossima stagione è già stato confermato, quindi se ne riparlerà nel 2026. Mi piacerebbe avere una gara del DTM in Italia anche perché diversi nostri circuiti hanno già ospitato il campionato”.
Hai vissuto il GT3 quasi dall’inizio, come è cambiato secondo te in questi anni?
“Si è evoluto molto, tante categorie hanno chiuso e altre sono nate. Il GT3 è diventato la categoria di riferimento per le Case costruttrici. Già nel 2015, quando ho iniziato con l’allora Blancpain Series Endurance e Sprint, il livello era già alto ora si è ulteriormente innalzato. Personalmente, a livello di gare sprint, credo che il DTM sia il campionato in assoluto più competitivo nel panorama GT in questo momento. Non devi condividere la vettura, quindi puoi fare un lavoro più specifico tirando il massimo della performance”.
Hai avuto modo di vedere la Temerario GT3, stai già dando indicazioni su quali aree migliorare rispetto la Hurácan?
“È una vettura completamente diversa che parte da una base totalmente nuova con un powertrain inedito, non abbiamo più il V10, si passerà a un V8 biturbo. Sarà una macchina tutta nuova da scoprire e sviluppare. Al momento è troppo presto per iniziare a parlare di questa vettura. Ma sono felice che Lamborghini abbia deciso di proseguire con il programma GT3”.
Da diversi anni corri sia in America che in Europa, quali sono le differenze?
“Mi piace molto l'IMSA. Per come è strutturato il campionato, la vicinanza con i fans e che in America corri su ‘piste old school’. Ma sarebbe monotono correre solamente in IMSA o solamente in Europa. Adoro gareggiare su entrambi i fronti perché ti permette di vedere tante piste, tipologie di campionati differenti, regolamenti diversi e anche un modo di approcciare alle corse differente. Tutto ciò rende il Motorsport ancora più eccitante e ogni weekend devi resettarti prima di scendere in pista ripassando il campionato, la pista, le gomme e i regolamenti. Quest’anno ho affrontato il GT World Challenge, l’IMSA, il WEC e il DTM e, quasi ogni volta, cambiavo anche la squadra non potendo permettermi passi falsi”.
Quest’anno hai portato anche al debutto la SC63 LMDh, come valuteresti la stagione?
“Per certi versi positiva. Abbiamo dimostrato una certa affidabilità e abbiamo finito quasi tutte le gare, purtroppo nelle ultime due abbiamo avuto dei problemini. Abbiamo fatto sicuramente una bella 24 Ore di Le Mans finendo in top 10 che credo sia stato il momento più alto della stagione. A livello di performance direi una bugia se dicessi che sono contento. Quando si scende in pista l'obiettivo è sempre quello di fare bene, quello di puntare a vincere. Però bisogna anche mettere le cose nel giusto contesto per capire il tutto. Da quando è iniziato il progetto SC63 ci siamo misurati contro Case molto più strutturate e più preparate, con un know-how diverso e con un budget maggiore. Non sto cercando scuse ma, quando vai a fare una valutazione di questo tipo, devi considerare tutti i parametri”.
Considerando tutto il contesto ti puoi ritenere soddisfatto?
“Il bicchiere è mezzo pieno. Ci sono stati sicuramente dei momenti positivi, però mi sarei aspettato degli step durante la stagione che la nostra diretta concorrenza è riuscita a fare. Ad esempio Alpine e BMW hanno fatto dei passi in avanti nell’arco del campionato. Questo è sicuramente un punto da rivedere, e spero comunque di avere la possibilità un giorno di essere competitivo”.
L’aver corso il WEC solamente con una SC63 forse vi ha penalizzato? Perché la prestazione migliore è arrivata proprio a Le Mans quando avevate due vetture…
“Credo che a Le Mans sia stata anche la pista, intesa come tipologia di tracciato, ad aiutarci. Così come al Fuji dove abbiamo visto che tutte le LMDh, non soltanto la nostra, volavano. Spesso dipende dalla tipologia di pista se si sposa bene col pacchetto o meno. Sì poi anche il Balance of Performance fa tanto. Ma devo dire che nel WEC viene gestito in modo diverso rispetto ad altri campionati e se non hai un pacchetto competitivo di base non c’è BOP che ti possa salvare”.
Il sodalizio con Lamborghini dura da quasi dieci anni, siete cresciuti praticamente insieme…
“Sono cresciuto molto sia come pilota che sotto molti altri aspetti. Quando rappresenti una Casa costruttrice devi seguire quelli che sono gli obiettivi di squadra, da questo punto di vista ho fatto tanti step in avanti perché non corri più in prima linea per te stesso ma corri per il tuo marchio. Riguardandomi indietro, è stato un percorso bello fatto di tanti successi. Nel nostro piccolo, credo che in questi dieci anni abbiamo fatto molte cose belle. Certo ci sono state anche tante gare negative, che però vanno lette con un’altra chiave: perché sono quelle giornate che ti fanno crescere, non soltanto come pilota ma come squadra. Possiamo essere molto orgogliosi in Lamborghini e del reparto Squadra Corse per ciò che è stato fatto. Se guardo quello che c'era dieci anni fa e ciò che c'è adesso, la base è molto solida speriamo possa continuare la nostra storia”.
Sai già quali saranno i programmi per la prossima stagione?
“Adesso abbiamo qualche settimana davanti a noi per sederci a un tavolo e capire in quale campionato correre, ma al momento è ancora troppo presto per dare una risposta. Se ci saranno i giusti presupposti difenderò il titolo conquistato nel DTM. Inoltre ci sarà da considerare anche il lavoro di sviluppo della Temerario GT3. Una cosa è certa: ci sarà sicuramente tanto lavoro da fare”.