29 Mag 2009 [1:10]
La gente sta con Mosley
I costruttori devono adeguarsi
Più passa il tempo e più la gente sta dalla parte di Max Mosley. Ce ne stiamo rendendo conto dalle e-mail e dai fax che stanno pervenendo in redazione, dalle persone che incontriamo, dai discorsi ascoltati nei paddock della GP2 e della World Series Renault a Monte Carlo. La crociata di Mosley contro i folli budget attualmente in essere nel mondiale F.1 piace. Mosley è addirittura visto come un eroe. Sarà che da qualche mese a questa parte tutti hanno iniziato ad apprezzare il valore dei soldi (almeno la crisi economica a qualcosa è servita...), ma appare evidente che gli appassionati sanno bene che la F.1 ha sempre visto protagonisti i team privati, gestiti da persone che si sono formate col motorsport e non negli uffici di BMW, Toyota eccetera.
Storicamente i costruttori arrivano in F.1, investono milioni su milioni, se ne fregano di tutto e di tutti, impongono il potere dei soldi, poi tolgono il disturbo quando gli pare. Mosley ha ragione ad avere paura che un bel giorno la massima formula dell'automobilismo si ritrovi con pochissimi team presenti. La Honda si è ritirata senza preavviso, domani potrebbero farlo la Toyota, la Renault. Squadre che non rispondono alla logica del motorsport, ma semplicemente agli uffici marketing, all'andamento dei mercati dell'auto. Ecco dunque la necessità di avere tra gli iscritti i piccoli team. Che magari un giorno diventeranno grandi. Un esempio? Quando Frank Williams iniziò la sua avventura in F.1 era uno squattrinato, il suo team era uno dei peggiori. Eppure in breve ha vinto mondiali a ripetizione.
Mosley ha deciso, certamente con modi eccessivamente autoritari, di tagliare drasticamente le spese. Cogliendo anche l'occasione per cercare di rompere le uova nel paniere alla neonata FOTA. Dov'è l'errore? Il caricare a testa bassa di Mosley, incattivito dagli avvenimenti prima comici poi tragici della sua vita, le sue parole baldanzose nei confronti della Ferrari, la sciocca idea dell'aiuto tecnico a chi rimane nel budget cap che va a creare due regolamenti in un unico campionato.
D'accordo tutti che la Ferrari è un'altra cosa. Il discorso cambia se parliamo ad esempio di BMW, Toyota o Renault. Pensate veramente che per chi sta davanti alla televisione o seduto in tribuna, faccia una grande differenza sapere che la macchina che vedono sfrecciare si chiami BMW o Campos? Che tradizione ha la BMW in F.1? Per non parlare di Toyota. Dov'erano a Monte Carlo questi due grandi costruttori che spendono centinaia di milioni? Nelle ultime due file. Dietro a Force India e a Toro Rosso... Che significa questo? Forse che spendono male i loro soldi? Che pagano decine di tecnici inadatti? Che la F.1 è un mestiere che non fa per loro? Traete da soli le vostre conclusioni.
La realtà è che, a parte l'Italia che vede solo Ferrari, negli altri Paesi sono gli uomini a calamitare l'attenzione. Hamilton, Alonso, Raikkonen, Massa, Vettel. Mettete Alonso sulla USF1, Hamilton sulla Campos, Raikkonen sulla Epsilon Euskadi, lo spettacolo sarà garantito. Si dirà: i grandi campioni vanno dove sanno di spuntare contratti da favola. A poterli garantire sono i costruttori. Ma per quanto tempo ancora i team manager di queste squadre potranno firmare assegni da nababbi ai piloti che li rappresentano, quando vi sono operai delle loro stesse aziende in cassa integrazione o licenziati?
La realtà di tutti i giorni, che è sempre rimasta fuori dal dorato e affascinante paddock della F.1, ha attraversato senza pass i cancelli di controllo ed è piombata come uno tsunami su Briatore and company. Mosley l'ha capito al volo, Williams pure, i suoi ex colleghi della FOTA stentano a capirlo. Ma tempo al tempo, e anche loro intuiranno che... la capanna non sarà una camera a cinque stelle, ma è pur sempre meglio che dormire sotto a un ponte.
Massimo Costa