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16 Ago [10:47]

La provocazione
Quanti piloti conoscono il termine set-up?

Massimo Costa

La provocazione l'ha lanciata Fabrizio Giovanardi, campione 2011 ETCC, in una intervista concessa ad Autosprint: "A me piace lavorare sulla macchina, entrare nel problema tecnico. Sono io che suggerisco all'ingegnere, devo dire una strana razza di persone, cosa fare perché sono io che guido. Non devono essere loro ad impormi le idee. Oggi invece, tanti ragazzi scendono dalla macchina, ascoltano magari senza capire l'ingegnere, lasciano fare tutto a lui e buonanotte". Se poi aggiungiamo le recenti parole di Bernie Ecclestone: "A Schumacher devono dare una macchina per le sue caratteristiche di guida, non il contrario", e il famoso "Gli ingegneri sono la rovina delle squadre, ti fanno spendere milioni per una aletta inutile che poi dopo due gare buttano via", urlato da Flavio Briatore qualche anno fa, ecco che una intera categoria si ritrova sotto assedio.

Le parole di Giovanardi non devono passare inosservate. Perché evidenziano un problema reale e pongono questa domanda: nell'era della telemetria, dalla GP2 alla F.Renault 2.0, quanti piloti sanno realmente costruirsi nel corso di una sessione di prove libere il giusto assetto? La telemetria, diabolica e utile invenzione, ha ribaltato da una quindicina di anni quello che è sempre stato il cuore e l'anima delle corse automobilistiche: la capacità di un pilota di capire la macchina e successivamente trasmettere ai tecnici della squadra le proprie sensazioni. Che facevano la differenza. Abbiamo letto libri e interviste nei quali i tecnici che hanno lavorato con Ayrton Senna si dicevano estasiati del suo modo di analizzare giro dopo giro, curva dopo curva, il comportamento della monoposto che il grande pilota brasiliano guidava.

Citiamo Senna perché è una leggenda. Ma fino all'avvento della telemetria, tutti i piloti, dalla F.1 alla più piccola categoria, svolgevano lo stesso lavoro del tre volte campione del mondo. Con uguale o inferiore perizia, ovviamente. Lo sviluppo di una monoposto di F.1, F.3000 eccetera, passava unicamente dalle indicazioni che il pilota forniva ai propri tecnici, che poi intervenivano sulla vettura. Era il cervello del pilota a tracciare il solco tra se stesso e i rivali, tra un team e l'altro, e a permettere all'ingegnere di intraprendere una "strada" nel weekend di gara. Lo stesso ingegnere poi, aveva il merito e l'intelligenza di applicare al meglio i consigli e le idee ricevute, spingendosi anche oltre in base alla capacità di guida del suo pilota. Un pilota che non aveva questa fondamentale capacità, diveniva uno dei tanti riempi schieramento. Nulla di più.

Attenzione, stiamo parlando di un'epoca mica tanto lontana. La telemetria (che ha sostituito il cervello del pilota) ha fatto la sua apparizione in F.1 alla fine degli anni Ottanta, trasferendosi piano piano fino alla F.3000 e alla F.3 nella metà del Novanta. Oggi cosa accade? Che il ruolo pilota-ingegnere si è quasi del tutto ribaltato. Non è più l'uomo ai box con la penna in mano ad ascoltare a bocca aperta le parole del pilota, ma il contrario. Girando per vari paddock, spesso ci capita di assistere a scene come queste: il pilota arriva ai box, scende dalla macchina, racconta le prime impressioni mentre il telemetrista scarica i dati dalla vettura.

Ma dopo le prime cinque parole, l'ingegnere di pista dice al proprio pilota: "Aspetta che poi vediamo i dati". Quasi disinteressandosi delle sensazioni a caldo di chi ha guidato la macchina, preferendo leggere i freddi dati del computer, della telemetria, magari perché non si fida delle indicazioni in tempo reale. Oppure, capita che il pilota, sceso dalla macchina, non ci abbia capito molto... e dice: "Non so, vediamo la telemetria". Successivamente, pilota e ingegnere iniziano ad osservare i grafici della telemetria. Ci sono stati, e vi sono tuttora, casi in cui le parole del pilota (ancora prima della lettura del computer) combacino perfettamente con il responso elettronico. Altre in cui chi guida ha opinioni completamente sballate.

Come è possibile? Ci sono piloti che il cervello di cui facevamo cenno nelle righe sopra, lo usano ancora. Dividendolo in sezioni. Quella relativa alla guida, quella al momento che vive (un sorpasso, una fase delicata), quello tecnico in cui memorizza le reazioni della macchina in ogni momento. Ce ne sono tanti altri che invece guidano soltanto, non ritenendo necessaria un'applicazione tecnica perché: "Tanto c'è la telemetria che mi dice cosa fare". Grosso errore. Punto primo, perché un pilota del genere non avrà futuro, punto secondo perché così operando si mette completamente nelle mani dell'ingegenere di pista.

Il quale, di conseguenza, perdendo da subito la fiducia nel pilota che segue, inizia a lavorare a proprio piacimento, imponendo le proprie idee, le proprie convinzioni. Ed ecco allora la successiva scenetta. Il pilota, anche molto esperto, dopo una gara sotto le aspettative arriva ai box e con lo sguardo arrabbiato proferisce le seguenti parole: "La squadra ha sbagliato l'assetto". La squadra, viene da chiedersi? Ma tu, pilota, dov'eri quando è stato definito tale set-up? Come avresti fatto a correre venti anni fa? Ecco quindi una delle cause che poi portano a momenti di crisi fra pilota e team...

C'è poi un altro aspetto da rilevare. Vi sono team (prendiamo sempre come raggio d'azione, le categorie dalla GP2 alla F.Renault 2.0), che delle impressioni del pilota poco importa. Convinti di essere nel giusto perché "Abbiamo vinto il campionato con questi assetti" oppure "In questa pista abbiamo vinto una gara quindi facciamo come pare a noi", gli ingegneri di pista pretendono che tutti i piloti che in seguito passano per le loro mani si adeguino allo stile di guida che loro impongono. Vi sono piloti, con poco carattere e personalità, che cercano di adattarsi, per lo più con zero successo. Ogni pilota conduce una monoposto in maniera diversa ed è dunque dovere dell'ingegnere di pista seguirlo e metterlo nelle migliori condizioni di guida. Invece, capita spesso che l'uomo del box si sente più protagonista del pilota, con le immaginabili disastrose conseguenze.

Va da sè che la soluzione migliore, come in tante realtà per fortuna si verifica, è la perfetta e umile intesa tra pilota e ingegnere. Il primo deve supportare il secondo, e viceversa. Se il secondo intende prevalere sull'altro, ecco che l'intesa sarà solamente utopia. Occorre inoltre rilevare che ai piloti, anno dopo anno, viene sempre più tolta la possibilità di ragionare sulla tecnica della vettura fin da quando compiono il primo passo nel motorsport: il karting. Già qui spesso viene consigliato al pilota di guidare e basta. Un grave errore che si ripercuoterà con gravi risultati sul futuro della sua carriera nel mondo delle monoposto.

Ecco allora la proposta di Italiaracing, certamente impossibile da effettuare, ma che ci piace scrivere e pensare. Cari Bruno Michel (GP2 e GP3) ed Emmanuel Esnault (World Series Renault), caro Enzo Coloni (Auto GP), cari vari organizzatori dei campionati di F.3, per una gara, una soltanto, proibite nella maniera più assoluta l'uso della telemetria! Cosa potrebbe accadere? Ci sarebbe da ridere un bel po'... ma si scoprirebbero anche tanti veri talenti. Un'altra cosa: le differenze, nei tempi cronometrici, sarebbero sicuramente più ampie e non vedremmo più 20 piloti in un secondo. Quest'ultima classifica, è sì figlia di una bella competitività, ma anche di un generale appiattimento dei valori dovuto dalla mancanza di improvvisazione (epoca pre telemetria) e dall'uso dell'elettronica che porta tutti sullo stesso livello. Anche se, per fortuna, alla fine il migliore emerge sempre.

Nella foto, Filippi spiega il comportamento della sua monoposto ai tecnici del team Coloni
gdlracing