Jacopo Rubino - XPB ImagesNella stagione 2022 di Formula 1, la Ferrari sembra sempre trovare il modo di buttare alle ortiche vittorie e punti, nonostante la bontà della sua monoposto. A Budapest è stata di nuovo colpa della strategia sbagliata: un disastro sotto gli occhi di tutti, che ha lasciato perplessi persino avversari e addetti ai lavori, ma che in verità ha radici profonde. Basti ripensare a quanto già accaduto quest'anno a Montecarlo, o a Silverstone, dove ha sì vinto Carlos Sainz, ma è stata compromessa la gara di Charles Leclerc, il meglio piazzato nella lotta per il titolo. Solo in questi tre round, il monegasco ha perso tre successi per mano del muretto, e un totale di 43 lunghezze. Che in classifica costruttori sono pure di più, al cospetto di una Red Bull che ha ribadito cosa significhi davvero essere un team attrezzato per il Mondiale, ad ogni livello.
Sul banco degli imputati, ovviamente, sale ancora Inaki Rueda, che dal 2015 è il capo stratega, ruolo già ricoperto in Lotus nei quattro anni precedenti. Lo spagnolo non è un novellino e nemmeno un uomo solo al comando, seppur sia sua l'ultima parola. Come in tutte le scuderie c'è inoltre il supporto della sala di controllo remoto in stile NASA, con una quarantina di ingegneri che studia in diretta dati e scenari, aiutando nelle mosse per i pit-stop. Ma allora come si è arrivati alla figuraccia del Gran Premio d'Ungheria, simboleggiata dalla scelta della mescola hard per Leclerc?
A caldo il team principal Mattia Binotto ha voluto spostare l'attenzione sulla resa della F1-75: "In queste condizioni, di base, la macchina non ha funzionato. Quando è così puoi mettere le gomme che vuoi, ma non cambia nulla", ha dichiarato a Sky Sport, ripetendo più volte il concetto. "L'esempio principale è Carlos, che è arrivato quarto mentre Hamilton secondo, pur partendo davanti e a pari strategia (media-media-morbida, ndr). Prima di tutto, cerchermo di capire perché la macchina non avesse il passo giusto".
Si può concedere che la Rossa, nella domenica magiara, non abbia avuto il suo quadro climatico ideale, con temperature dell'aria scese a 19 gradi, mentre nei long-run del venerdì la colonnina toccava i 34 (e 47 per l'asfalto). Probabilmente Max Verstappen, decimo in griglia, avrebbe trionfato comunque. Ma al giro 31 la situazione sembrava in pugno, con Leclerc finalmente in testa dopo lo splendido sorpasso a George Russell. Nove tornate dopo è maturata la decisione di montare le gomme dure, nemmeno utilizzate nelle prove libere e che già si stavano rivelando poco efficaci sulle Alpine di Fernando Alonso ed Esteban Ocon. A quel punto la frittata era fatta, ma è stata bruciata quando il monegasco è stato richiamato ai box per la terza sosta al giro 54 (di 63): così è scivolato sesto, invece di cercare di difendere sul campo la posizione occupata, su un circuito ostico ai sorpassi.
Leclerc voleva proseguire con le medie: lo aveva chiarito via radio al giro 37 ("Le gomme sono buone, restiamo su queste"). La squadra, invece di concentrarsi sul proprio ritmo, si è però preoccupata troppo di guardare le mosse Red Bull, con l'undercut di Verstappen. Non è una novità. Paradossale che Xavi Marcos, l'ingegnere di Leclerc, già in precedenza avesse confermato al giro 35 che le hard faticavano a entrare nella finestra giusta. "Erano pessime, per questo volevo stare il più a lungo possibile con le medie", ha poi insistito il numero 16 tagliato il traguardo.
Cosa emerge? Più di tutto, una scarsa capacità di leggere l'evolversi della situazione, quando esce dai binari prestabiliti, magari per una vettura al di sotto delle aspettative. Ma la Ferrari si era già messa in un vicolo cieco coprendo i primi due stint, su entrambe le auto, con gomme medie: non ha "smarcato" la regola di utilizzare almeno due specifiche diverse, negandosi una maggiore libertà di manovra. È stato così anche per Hamilton (come ricordato da Binotto), ma almeno la Mercedes ha differenziato le tattiche: il poleman Russell è partito con le soft, anche se usate, così come Verstappen.
Verstappen, Hamilton e Russell, osservando gli highlights sullo schermo nella saletta pre-podio, hanno sorriso scoprendo dalle immagini che le Ferrari avessero utilizzato le dure. Una reazione che vale più di mille ragionamenti e miriadi di dati: a volte bisogna ascoltare un po' di più chi sta al volante. Per provocazione,
a Leclerc avevamo già "suggerito" di imporsi maggiormente, un po'
come faceva Sebastian Vettel nel suo ultimo anno in squadra, quando la macchina era però la pessima SF1000 e un quinto-sesto posto poteva sembrare oro colato.
Appare ancora più incredibile che la Ferrari, con la sequenza medium-medium-hard, abbia adottato un piano nemmeno contemplato dalla stessa Pirelli: la ottima F1-75 non è la SF1000, va bene, ma non è nemmeno la leggendaria F2004 di Michael Schumacher, che poteva trionfare con qualsiasi strategia (chi ricorda i quattro pit-stop in Francia?). Allora non c'era concorrenza, adesso invece la Red Bull, e ormai anche la Mercedes, non perdonano i pasticci.
La soluzione? Scontato individuare in Rueda, che non è certo Ross Brawn, o persino in Binotto, i capri espiatori di questo annoso tallone d'Achille ferrarista. Ma se non dev'essere caccia alle streghe, spesso avvenuta in passato nei corridoi di Maranello, c'è comunque qualcosa da rivedere radicalmente, e subito. "Aggiorniamo i nostri strumenti, le procedure e ci assicuriamo di uscire da quest'esperienza più forti", prometteva proprio Rueda dopo la sconfitta di Montecarlo. Beh, per ora non è accaduto.