Dopo aver parlato della categoria, delle auto e delle piste della NASCAR, continuiamo la nostra serie di contenuti dedicati ai nuovi appassionati della categoria parlando dei piloti, punto fondamentale di ogni campionato.
Un parco di "specialisti"
I piloti NASCAR in grande maggioranza sono nati e cresciuti nella filiera NASCAR. La guida, le piste e le particolarità sono talmente tante che per essere competitivi è necessario stare sin da piccoli in quell'ambiente. Difficile che ci sia un vero e proprio trasferimento dalle formule o dalle gare di durata. Ci sono state però eccezioni, come l'avventura positiva di Juan Pablo Montoya, e ci sono tuttora piloti "esterni" che provano a fare il salto.
Proprio per questo fattore, i piloti sono per la quasi totalità americani. Tra gli ultimi "stranieri", Monotya, Max Papis, italiano, Marcos Ambrose, australiano. L'anno scorso, il neozelandese Shane Van Gisbergen ha fatto la storia arrivando dal turismo australiano vincendo la sua prima gara a Chicago. Quest'anno sarà al via part-time con l'obiettivo di restare.
Cowboy o professionisti?
I piloti NASCAR hanno sempre avuto la nomea di essere poco tecnici, un po' cowboy, e anche meno "in forma" dei colleghi europei. In realtà, con gli strumenti attuali, dati, telemetrie, simulatori, coaching, il tasso tecnico si è alzato a dismisura, e anche quanto a preparazione fisica lo standard è quasi lo stesso. Tuttavia, è vero che, essendo l'esperienza così importante, ci sono (pochi) piloti un po' più "rotondi" della media che riescono a usarla per compensare altri aspetti.
Un panorama di impiegati del volante
Quello che rende particolare il panorama NASCAR, è che le categorie minori non sono popolate solo da giovani che vogliono fare la scalata verso la Cup Series. Grazie ai corposi premi in denaro, molti piloti riescono a mantenersi da "lavoratori del volante", avendo un'onesta carriera locale che arriva fino alla pensione e oltre.
Qualche opportunità in piùAnche in NASCAR, il budget per un pilota è importante, ma c'è qualche opportunità in più proprio grazie ai premi. Anche negli USA ci sono programmi per giovani piloti delle scuderie maggiori, come nelle formule europee.
Ci sono piloti che arrivano in Cup Series contribuendo al budget, ma, similarmente alla F1, devono essere competitivi, altrimenti rischiano di costare più di quello che portano in termini di immagine, premi e sponsorizzazioni.
Dai sogni alla realtà
Ma cosa vuol dire opportunità in più? Ad esempio, uno dei piloti che debutteranno a tempo pieno quest'anno, Josh Berry (nella foto) è diventato pilota dopo aver conosciuto un Team Manager in una chat, iniziando come meccanico e diventando poi collaudatore. William Byron, contendente al titolo 2023, ha cominciato sui simulatori, e visto quanto andava, ha provato qualche gara reale minore. Ha subito dominato, ed è stato notato dalle persone "giuste". Dopo tre anni, aveva un contratto full-time milionario.
Il fenomeno Dale Earnhardt Jr
Non si può parlare di piloti NASCAR senza citare Dale Earnhardt Jr (nella foto sotto), uno dei personaggi più influenti della categoria, anche se ormai quasi del tutto ritirato.
Figlio del più amato campione della serie, scomparso in un incidente nel 2001 mentre gli "proteggeva le spalle" nella volata per la vittoria, è stato "adottato" da tutti i tifosi.
Così, indipendentemente dai buoni risultati, ha guadagnato una fama enorme, senza precedenti, pur non avendo mai vinto un titolo in Cup Series. Dopo la fine della carriera (anche a causa di problemi di salute) è diventato telecronista, team principal e commentatore, ed è una delle voci più autorevoli della serie. Il suo podcast "Dale Jr Download" è una delle fonti migliori per chi vuole sapere tutto della NASCAR (e capisce l'inglese).
Piloti più "anziani"
In generale, in NASCAR i piloti sono più longevi che in Formula. Come detto, l'esperienza in questo tipo di gare è talmente importante che compensa un po' anche il decadimento fisico. Un pilota può essere tranquillamente al top fino a 45 anni. Anche se l'età minima per correre in Cup Series è 18 anni, è normale aspettare un po' di più, anche perché la "Formula 2" della NASCAR è particolarmente d'alto livello e può tenere impegnati per più stagioni.
Spesso i piloti della Cup Series prendono parte ad altre gare nelle categorie inferiori, cosa che le rende estreamaente probanti e non molto distanti in termini di livello. Potendo correre anche gare singole, ci sono spesso "vecchietti" nel gruppo. Il record della Cup Series spetta a Morgan Shepherd, 71 anni. Ma nelle serie minori locali si è visto ancora di recente Red Farmer, a dispetto degli oltre 90 anni.
Piloti di famiglia e team principal
Come in Europa, e anche di più, le dinastie da corsa sono presenti e importanti. Uno dei migliori piloti sulla piazza, Chase Elliott, è figlio di Bill Elliott, campione del passato. Fino al ritiro del primo, i fratelli Kurt e Kyle Busch erano tra i migliori interpreti della serie, entrambi titolati. Ryan Blaney, il campione in carica, è figlio dell'ex pilota Dave Blaney.
Non è raro poi che i piloti acquisiscano quote nelle squadre per cui corrono, specie a un certo punto della carriera. Tony Stewart è socio del boss della Haas F1 nello Stewart-Haas Racing. Brad Keselowski ha comprato una "fetta" del team Roush Fenway. Denny Hamlin è addirittura comproprietario con Michael Jordan di una scuderia per cui fa correre altri piloti, mentre lui è al team Gibbs.
Diversità da migliorare
Al momento non ci sono piloti donna in NASCAR Cup Series, la serie di punta. Strano, considerando che nella prima gara del 1948 ce n'erano addirittura tre. Tra l'altro, la prima Italiana a correre in NASCAR è stata una donna, Lella Lombardi, nel 1977. La più recente e competitiva, Danica Patrick. Si sta comunque facendo molto per diversificare il parco partenti, tramite programmi di sostegno non solo per donne pilota, ma anche per le minoranze.
E' un tema particolarmente scottante in un paese con grandi tensioni razziali. Un solo pilota afroamericano corre al momento in NASCAR, Bubba Wallace, sotto contratto col team di Hamlin e Jordan. A volte, non viene trattato bene da una parte del pubblico più conservatore e questo è visto giustamente come un problema. Perciò, ci sono diverse iniziative volte all'inclusione.
Non sempre chi vince è un idolo
Ma in generale, non è detto che il pilota che vince sia automaticamente amato dalle folle, anzi. Non è raro vedere piloti vincenti che vengono fischiati tanto da faticare a parlare nelle interviste post-gara. Alcuni per un carattere schietto e "ruvido", altri perché abbracciano in pieno il ruolo dell'antieroe.